La sessualità è un punto da cui la psicoanalisi ha preso il suo avvio e che continua a rimanere una delle sue frontiere, poiché è questione che richiede una costante elaborazione teorica e clinica per la divaricazione esistente tra le radici inconsce della vita sessuale e il suo intrecciarsi con le significative influenze del sociale dell’immaginario collettivo e delle trasmissioni transgenerazionali.
Siamo anche sollecitati dalle difficoltà che i nostri pazienti ci presentano sempre più frequentemente, in un momento di profonda trasformazione antropologica che ci sfida a pensare a nuove geometrie della mente.
Pur nell’unanime accordo della comunità scientifica psicoanalitica sul fatto che non esista sessualità che non sia psicosessualità, qualcuno ritiene che gli organizzatori classici della psicosessualità conservino ancora il loro ruolo di organizzatori della personalità, mentre, per altri, prevale l’idea che abbiano perso questa loro funzione e destituiscono la psicosessualità da organizzatore a semplice espressione di modalità relazionali.
Qualcuno mantiene la centralità della vicenda edipica per la determinazione del genere sessuale, altri insistono nel sostenere che sono le prime relazioni oggettuali a determinare il genere sessuale.
Qualcuno, ribadendo il fatto che le pulsioni sono anche la misura delle richieste che il corpo pone, considera che vi sia una tendenza teorica alla desessualizzazione e una sottovalutazione della dimensione corporea.
Ma in molti si sente l’esigenza di una teoria generale dello sviluppo psicosessuale nella psicoanalisi contemporanea.
Occorre mettere qualche punto fermo o meglio ancora fermare qualche immagine del poliedrico caleidoscopio che lo studio della sessualità propone nella nostra società post-moderna.
La psicoanalisi freudiana, con la teoria psicosessuale, ha posto la sessualità alla base del proprio modello teorico collocandola al centro dell’organizzazione della vita psichica dell’uomo considerandola elemento fondamentale dello sviluppo psicologico e psicopatologico.
In questa impostazione mono-personale la libido è vista come una forza che, pur provenendo dal corpo, una volta registrata nella mente, guida i comportamenti e i processi evolutivi.
Si configura come una tensione psicofisica irriducibile verso l’altro, verso ciò che manca. Una tensione che sollecita la struttura del mondo interno, delle fantasie, delle forme dei desideri, dei sogni e che conferisce spessore ed energia al movimento verso l’altro da sé, l’altro che è in sé.
La svolta relazionale della psicoanalisi, nel passaggio da una psicologia mono a bi-personale, vede la sessualità non più appoggiata al concetto metapsicologico di pulsione ma considerata nella sua dimensione di esperienza sessuale nel rapporto con l’altro.
Nella teoria delle relazioni oggettuali la sessualità è ancora considerata elemento chiave per l’identità, condizione fondante nella formazione e conservazione del senso di Sé.
Ma il ribaltamento del rapporto tra oggetto e pulsione, la non univocità del rapporto tra pulsione e oggetto. propone una visione più articolata. In questa prospettiva l’oggetto interiorizzato attraverso la vicenda conflittuale assume un rilievo fondamentale per lo strutturarsi della pulsione stessa.
Secondo la psicologia bipersonale o relazionale la libido si sviluppa nella relazione tra gli individui. La libido, sostiene Fairbairn, non è una forza impersonale, ma è invece strettamente personale e non cerca una scarica, ma un oggetto. La dimensione erogena del corpo (sempre Fairbairn) si attiva tanto per la relazione quanto per la chimica corporea. Allo stesso modo le fasi psicosessuali non sono solo momenti corporei ma anche interpersonali.
L’introduzione del concetto di genere compare in psicoanalisi molto tardi. Non lo si trova negli scritti di Freud e bisogna arrivare al 1968 quando Stoller lo ha concettualizzato come una dimensione centrale dell’organizzazione del sé, dando inizio agli studi psicoanalitici sul genere a fondamento empirico, per i quali un grosso contributo fu quello fornito dalle psicoanaliste femministe di matrice relazionale.
Per Freud la differenza di genere è radicata nella biologia e concetti di genere e ruolo di genere sono pressoché sinonimi.
Il concetto di genere, cioè la consapevolezza conscia e inconscia di appartenere a un sesso, sposta l’accento dal corpo alla psiche, accostando al genere sessuale biologico. la percezione e la rappresentazione intrapsichica e culturale delle prerogative del maschile e del femminile non sempre necessariamente e naturalmente allineata con il sesso anatomico
I Gender studies ci portano a ripensare alle dimensioni del maschile e del femminile in modo più libero, rispetto al determinismo anatomico. ma anche in modo più complesso rispetto ad un dicotomico o/o.
Il genere investe direttamente l’intima relazione tra sessualità e quel costrutto, intrinsecamente problematico in psicoanalisi, che è l’identità.
In questa visione non è più la normale soluzione edipica eterosessuale che porta a compimento lo sviluppo psicosessuale, centrato sull’integrazione delle componenti parziali della sessualità infantile, ad avere il primato nel determinare l’identità di genere.
Per le teorie della relazione oggettuali, che privilegiano la precoce attiva e superiore importanza della madre nella soggettività del bambino, il genere si costituisce passando attraverso la sensorialità corporea nei processi di attaccamento e identificazione con il primo oggetto d’amore che conduce a far esperienza di sé e dell’altro da sé.
La relazione edipica è ancora considerata cruciale per la costruzione della mascolinità e femminilità ma è ritenuta subordinata a processi più precoci.
Il diverso modo di affrontare la questione sessuale dipende in parte dall’evoluzione interna alle teorie psicoanalitiche ma anche dai profondi cambiamenti dello scenario sociale.
Durante il secolo scorso, la sessualità, da aspetto tenuto nascosto e rappresentato come estraneo all’identità personale, è diventata sempre più visibile prendendo le mosse dalla sessualità infantile riconosciuta e restituita ai bambini come patrimonio libidico personale nelle sue forme pregenitali, mettendo il piacere alla base dello sviluppo di tutte le forme di sessualità adulta.
Di contro, in questo secolo, il problema dell’identità del soggetto è balzato in primo piano come qualcosa che non si può dare per scontato, a cominciare dal moltiplicarsi dei casi di personalità multiple, costruite sulla base di scissioni verticali interne.
Il sesso anatomico non è più un ovvio punto di riferimento intorno a cui costruire l’identità della persona, ma anzi spesso costituisce una difficoltà con cui lottare per esprimere valenze personali indefinite e complesse.
Transex e travestitismo sono emblemi della crisi della dicotomia maschile/femminile, della conflittualità interna e della pluralità di ogni identità di genere.
Rovesciando il paradigma freudiano, possiamo rilevare come il disagio postmoderno sia alimentato non più dagli effetti di una repressione della sessualità, dalla costrizione e dai limiti imposti dal sistema normativo sociale sullo strutturarsi della soggettività, ma, all’opposto, dal liquefarsi degli apparati simbolici e delle strutture collettive delle soggettività, che erano certamente un limite ed un vincolo, ma anche potenti organizzatori della vita pulsionale.
L’instabilità e molteplicità dei generi è un fenomeno eclatante, epocale ed è possibile sostenere che il concetto di genere ha finito con assorbire il tema della sessualità, poiché non è la sessualità che determinare il genere, ma il genere che organizza la sessualità.