La psicoanalisi, nata come osservazione dell’intrapsichico, grazie anche al contributo della psicoanalisi infantile e all’osservazione del bambino e delle sue interrelazioni precoci con l’ambiente, si è evoluta in direzione di una sempre maggiore attribuzione di importanza all’ambiente esterno. Le concezioni derivate dalla Teoria dell’Attaccamento e dall’Infant Research, le conoscenze sulle relazioni promosse dagli studi sull’intersoggettività, il riconoscimento della transgenerazionali della trasmissione psicopatologica, ribadiscono l’importanza della relazione reale con la sua caratteristica di influenzamento reciproco dei partner e indicano alla teoria psicoanalitica una maggiore attenzione alle relazioni effettive e a rivedere anche in questa prospettiva il rapporto tra fantasia e realtà, tra mondo interno e mondo esterno, tra passato e presente.
Il lavoro psicoanalitico con gli adolescenti e con i bambini, unitamente a quello con i border e gli psicotici, ha costituito, per la ricerca psicoanalitica, una buona occasione di revisione del concetto classico di cura psicoanalitica.
Le espansioni della teoria e della tecnica in psicoanalisi, sappiamo, sono avvenute a partire dai contributi di analisti che si sono occupati di bambini: Klein, Winnicott. Quindi riflettere sulla psicoterapia dei bambini e degli adolescenti, dove la presenza dell'analista è aspetto assolutamente irrinunciabile, ci pareva un modo efficace per continuare un percorso di approfondimento.
Lungo il cammino tra mondo infantile e mondo adulto, tra bisogni e pulsioni infantili e la ricerca e l’integrazione di un’identità nuova, anche lo psicoanalista si trova continuamente confrontato con l’ignoto, con l’insicurezza. È una sfida quella che il trattamento degli adolescenti lancia alla psicoanalisi e soprattutto alla nostra teoria della tecnica.
La terapia di adolescenti ci costringe a ripensare e riformulare la nostra concettualizzazione del setting, del transfert e del controtransfert, dell’interpretazione e del ruolo della realtà esterna.
Riflettere sugli intrecci teorici e tecnici tra la psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti e quella degli adulti, confrontare l'uso diverso del transfert e dell’interpretazione, favorire, più in generale, uno scambio tra gli analisti di adulti adolescenti e bambini, ci sembra che possa essere un buon contributo all’approfondimento del nostro tema. Sarà per noi occasione di gettare uno sguardo nuovo sulla relazione tra paziente e terapeuta, colti nel loro essere e porsi per come sono e per come possono nella definizione e strutturazione del loro legame.
Mai come nel trattamento del bambino e dell’adolescente, è molto più importante ciò che l’analista è di ciò che l’analista dice. Le caratteristiche dell’analista, il peso della sua soggettività entrano di forza nel processo psicoanalitico e nella soggettivizzazione del paziente.
Lo stile, l’autenticità, gli orientamenti, le credenze, insieme al bagaglio teorico e tecnico, sono componenti che influenzano e promuovono la relazione terapeutica
Per questi motivi ritengo importante il rapporto con chi si occupa da molti anni di terapie dei bambini, con coloro che sappiamo capaci di integrare Winnicott con le neuroscienze.
Mi pare interessante un progetto terapeutico che associa al lavoro diretto sui bambini un intervento con e attraverso i genitori, allo scopo di potenziare le loro competenze genitoriali.
Ritengo di particolare stimolo l’atteggiamento terapeutico dove la dimensione teorico-clinica coniuga l’approccio psicoanalitico con i contributi dell’Infant Research. Credo in una proposta teorica che sostenga l’ipotesi che i cambiamenti possano essere prodotti non solo contando sulla dimensione simbolica dell’esperienza ma coniugando entrambe le dimensioni: quella simbolico-verbale e quella procedurale-fattuale.
Mi interessa il “far accadere un’esperienza nuova” all’interno della consultazione.
La tecnica del gioco, strumento di elezione nella terapia dei bambini oltre ad appoggiarsi al significativo sostegno teorico di Winnicott, trova una sua validazione nei successivi studi dei neuroscienziati e dei ricercatori nel campo della memoria può essere altresì un enorme contributo per l’assetto mentale dei terapeuti degli adulti, una spinta allo sviluppo della capacità di rêverie, può contribuire a favorire un maggior contatto con il preconscio.
L’identità del lavoro analitico non è definita né dall’uso del divano, né dalla frequenza delle sedute, né dall’esattezza dell’interpretazione ma da una capacità di ascolto dell’altro e nel saper mantenere vivo il dialogo.
Nella terapia con l’adolescente la relazione “reale” occupa un posto importante e con questa la consapevolezza del nostro essere in gioco in quanto persona con la nostra umanità, con il nostro bagaglio di esperienze, con la nostra costellazione di difese e angosce, con la consapevolezza che queste caratteristiche influenzano e promuovono, nella relazione terapeutica, la nostra capacità di essere in contatto con l’adolescente nell’hic et nunc dell’incontro e, al tempo stesso, ci richiamano maggiormente alla sua neutralità e all’aderenza all’inconscio.
L'attenzione alla propria soggettività non può che tradursi, nell'analista, in un costante
funzionamento autoanalitico, in un’incrementata vigilanza al controtransfert, in una costante disponibilità a rivisitare gli aspetti della propria adolescenza, nutrendo il convincimento che non ci possiamo accontentare delle acquisizioni raggiunte, che i processi psichici non si esauriscono una volta per tutte, ma continuano ad essere alimentati dallo scambio profondo con l'altro che è in noi e con l'altro fuori di noi, nonché dalla presenza dell'inconscio.